MONDONGO

Date: 10 Febbraio – 15 Marzo 2016 – Opening 9 Febbraio 2016

Location: MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo – Space D – Via Guido Reni 4A – 00196 Roma

Curatori: Laura Buccellato – Massimo Scaringella

 

Mondongo MaxxiMondongo è un collettivo di artisti argentini che lavora insieme dal 1999. Il gruppo, emerso nella scena artistica nel 2000, risiede a Buenos Aires ed è costituito da Juliana Laffitte e Manuel Mendanha. L’originalità della loro scelta dei materiali, quali plastilina, capelli, piume, biscotti, carne e filo di cotone, permette loro di creare tecniche personali e intricate texture. Gli artisti hanno organizzato la loro produzione in serie, quali Paesaggi e Teschi. Le opere di Mondongo sono state presentate in USA, Spagna, Regno Unito, Cina, Corea e in diverse città dell’America Latina e possono essere trovate in collezioni sia pubbliche che private, in Argentina e all’estero.

Paesaggi
Il lavoro di Mondongo è stupefacente: ha un potere visivo, una sensualità tattile e testimonia costantemente una preoccupazione per il sociale, commentando le miserie, gli abusi e il crescente divario tra i “padroni e quelli che non hanno”. Mondongo affronta le enormi tasche della povertà, l’alienazione alla periferia della città e le manipolazioni corrotte del potere che infettano la vita argentina. L’impatto di questa straordinaria serie è quello della saturazione visiva: il sovraccarico dell’immagine e ci racchiude nei cicli naturali della nascita, del decadimento e del ringiovanimento, dove la vita riemerge dalla putrefazione. La bellezza delle immagini proviene da un qualche tipo di caos primario e ci inonda, proprio come la terra stessa è sommersa ogni anno a causa di temporali e alluvioni. Le loro versioni di questi paesaggi ci travolgono con l’immediata presenza che essi stessi dovevano sentire quando li hanno incontrati per la prima volta. Parliamo di un senso di timore, di suggestione, di paura, di mistero e di meraviglia davanti al mondo. Hanno una gamma e una presenza, che ci viola e ci sorprende. Sono vivi, poveri ma indiscutibilmente seducenti.

Teschi
La serie dei Teschi è piena di riferimenti della storia dell’arte, di citazioni, di associazioni, di piccoli giochi e allusioni metaforiche. Le cose si accumulano come nella vita, si ammassano e si contraddicono, si definiscono o si confondono le une contro le altre. Ci si trova bombardati da una straordinaria moltitudine di stimoli visivi, in cui le percezioni frammentarie costituiscono sia ingressi energetici che scariche energetiche, consentendo alle associazioni feconde di aprire visioni sui significati, sia letterali che figurativi. Non vi è difficoltà nel dire che il processo di creazione di queste miniature infinite, che si accumulano nel campo visivo, è faticoso e laborioso. Il tempo diventa parte dell’esperienza di queste opere – tempo per leggere i dettagli, tempo per assorbire il loro impatto. Le idee concettuali, tuttavia, che hanno inizialmente motivato il pezzo, sono cambiate. Si tratta di una sorta di libro di giornata, che incorpora e incarna spostamenti di enfasi o di cambiamenti nella direzione, mentre, allo stesso tempo, conserva tracce dell’intento originale. Il cranio è diventato uno spazio in cui Mondongo può pensare alla storia o addirittura più retoricamente al futuro della razza: l’immensa peste dell’umanità che si diffonde e occupa tutto, consumando il pianeta.

The parade of images that feeds the Mondongo collective pertains to the detailed registry of their real experiences, mixed with the digestive influxes of their great cultural tradition situated in a more ample conception. It lacks programmatic proclamations, for that visual culture forms a constituent part of their very own DNA.
It should not be overlooked that they were born as a collective, quickly turned into an artistic binary. That condition of plurality was the detonator that instigated their provocative attitude, which translated into their singular experimental development dense with significant materiality. Elements that initially pertained to different uses—slabs of meat, clay, threads, diverse materials amalgamated via secret recipes—are transformed into the subject-object of their pictorial praxis.
The bizarreness of the materials chosen creates feelings of attraction and repulsion that reveal somatic and semantic characteristics of an often-satiric and impactful realism, where all pictorial verbs are conjugated.
Obsessive details create forms and colors that highlight their pictorial wisdom with bombast and disconcerting effect, intersected by cultural references that go from the remote tradition to the classical, driven by their contemporary reinterpretation.
Mondongo’s works are pervaded by a disarming romantic melancholy that floods their landscapes (although not completely). They always include some imperceptible ironic wink, such as in their polypytch, decorated in an elliptical panorama that contains an allegory marked by the frightening awareness of an Heraclitean stream in which life and death succeed each other in the uncertain evolution of time, and nature becomes the tangible evidence of their existence.
Their art finds a microterritory where natura’s elusive grandeur brings one to personal mythologies that weave into a selective memory of their most intimate emotions, masterly expressed in their portraits, equally casual and personal. A meaningful example is the emblematic portrait of the controversial writer, their friend and mentor Fogwill, in which his human condition is unmasked in the wrinkles that traverse his face made up of blended threads crafting his dramatic decline, sublimated in the emotional intangibility that it breathes. That intangible latency can be sensed in every intersection made incarnate through their works.
Object proximity is the limit of detail in those “living portraits” that carry them into an irremediable flight, one whose camouflage, given its apparent crudeness, reveals the liberating force of that compelling objectual materiality that permeates the very surface they occupy. Like the skulls, composed as the Tower of Babel, seem to engulf the whole history of humanity.
Underneath that contaminating fascination emerges a suspicious fragileness, fed by the foreboding of an unreality, suggestive of the precariousness of the universe. This paradox hides itself in the ideology behind their observations, where the real, in constant mutation, becomes a representation of life itself.

LAURA BUCCELLATO